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Mi ha catturato Milillo e non Mangano (LUCIANO LIGGIO)

Caro amico Facebook,

 

ti ringrazio per avermi inviato la mail con l’intervista dello scrittore Carmelo CARBONE che ha rilasciato al MeridioNews dove anticipa la presentazione del suo libro ”Angelo Mangano, la storia di un poliziotto scomodo: oppositore della Mafia oggi dimenticato”. Nel suo lavoro, l’autore narra solo parte della vita del Questore di origini giarresi e lo definisce “integerrimo, impavido, onesto e probo servitore dello Stato che arrestò il boss di Cosa Nostra Luciano Liggio (come sai il suo vero nome era Leggio)”.

Ho compreso perfettamente il tuo sbigottimento nel leggere una simile notizia tanto da mettere in dubbio quanto da te fin qui conosciuto e, pertanto, ti voglio tranquillizzare e confermare che, nonostante alcuni tentativi infelici di scrittori di libri inchiesta, talvolta in buona fede-non avendo approfondito adeguatamente la materia presso gli organi istituzionali-altre volte perché pressati da committenti, distorcono la realtà in modo spudorato con imprecisioni, falsità, menzogne, fanfaronate,…….. nuocendo alla conclamata  verità  storica come quella della cattura del super boss dei boss della mafia Luciano Leggio.

Come innanzi detto desidero tranquillizzarti dimostrandoti in modo esauriente come l’Arma arrestò il Liggio al comando di mio padre, allora Tenente Colonnello quale Comandante del Gruppo Esterno Carabinieri di Palermo con la “partecipazione” nell’ultima fase del Commissario Angelo Mangano “inviato straordinario del Capo della Polizia, Angelo Vicari”. Il perché di questa precisazione, lo dirò più innanzi.

Mi piace rileggere insieme il “Verbale di Arresto” di Luciano Leggio che solo in parte il figlio del Questore riportò in un articolo su Città Nuove di Corleone del suo amico Dott. Paternostro omettendo, mi auguro involontariamente, la prima parte e quella conclusiva,  dove si precisa che fu compilato presso gli uffici della Compagnia Carabineri – e non Commissariato di PS – di Corleone, e dove vengono elencati i Reparti partecipanti all’operazione (Gruppo Esterno di Palermo, Gruppo Interno di Palermo, Nucleo di Polizia Giudiziaria Carabinieri di Palermo, Commissariato di PS di Corleone e Squadra Mobile Palermo) e dove si afferma che ““……..il latitante Leggio Luciano, il quale dopo essere stato identificato, veniva tratto in arresto e successivamente tradotto in “questa caserma” da dove sarà fatto proseguire per le Carceri Giudiziarie di Palermo e messo a disposizione della Autorità Giudiziaria mandante””…………Fatto, letto, confermato e sottoscritto in data e luogo di cui sopra.

Il dott. Mangano jr. ha omesso (mi auguro involontariamente) una parte importante e significativo del  su detto Verbale e sai perché è importante? Semplice. Devi sapere che fra gli investigatori appartenenti alle Forze di Polizia e di Polizia Giudiziaria, esiste un codice deontologico che ovviamente, sia il figlio del Questore sia il romanziere, non essendo del mestiere, disconoscono e ne possono, forse, comprendere l’importanza di questo accordo Istituzionale che è servito e serve a non creare “malintesi” fra le Istituzioni e arrecare “spiacevoli frizioni” con chi ha avuto il “merito preminente” della operazione. Ecco perché la Polizia si portò presso la Compagnia dei Carabinieri e non l’Arma presso il Commissariato di Polizia.

Nessuno disconosce che vi partecipò anche il Mangano ma va chiarito il ruolo avuto nelle indagini e nelle fasi dell’operazione.

Come ho detto, nel libro, il Carbone racconta “solo” parte della vita del Mangano astenendosi di raccontare tutta la sua avventurosa , discussa e discutibile vita e non mi permetto minimamente di entrare nel merito agli ”aneddoti dall’autore indicati più importanti della vita del funzionario” in quanto alcuni non sono di mio interesse ed altri non sono da me ben conosciuti. Per magnificare una persona basta poco. E’ sufficiente mettere insieme o omettere, con un po’ di fantasia, notizie più o meno veritiere, non adeguatamente  documentate, imprecise, incomplete, di comodo, romanzandole.

Invece, mi corre l’obbligo di contestare fermamente, così come in passato, la cattura del Leggio ad opera dell’allora Commissario Mangano, che, come risaputo, avvenne storicamente grazie mio padre.

Desidero rivivere con te questo episodio, ripeto, cercando di esserti il più esaustivo possibile con una miriade di “documenti certi e ufficiali alla mano” quali Atti di Polizia Giudiziaria, contro firmati dal Mangano; Rapporti alle massime Autorità Istituzionali; Verbali come quelli delle relazioni conclusive delle Commissioni Parlamentari d’Inchiesta sul Fenomeno della Mafia in Sicilia, quotidiani, mensili, video intervista fatta dal grande Enzo Biagi a Liggio durante la sua detenzione e che benché nota al Carbone, questi ha, volutamente, omesso di utilizzare in quanto non avrebbe potuto mai attribuire la cattura al Mangano,……” tutti attestanti che “l’onesto funzionario”, in ogni modo e luogo, ha tentato di usurpare il merito “preminente” della cattura del Leggio all’Arma e quindi a mio padre.

Sai, è davvero paradossale che, nonostante lo stesso Leggio abbia sempre affermato nei verbali di Polizia Giudiziaria, nei Tribunali, alla stampa, alla RAI, di essere “stato arrestato da Melillo, il colonnello dei Carabinieri”,  si tenti ancora, con ogni mezzo e spregiudicatezza, volere attribuire al Mangano la cattura.

L’autore del libro, riconosce che ha avuto non poche difficoltà (lo comprendo) a descrivere una “figura di spicco delle forze dell’ordine italiane, molto discussa in vita e dimenticata dopo la sua morte…..perché le fonti erano davvero ristrette. Ho sentito comunque l’esigenza di andare avanti perché, man mano che studiavo, mi rendevo conto che Mangano fosse una persona integerrima, tutta d’un pezzo e che, per quei tempi aveva fatto cose straordinarie”(oggi non le avrebbe potuto fare). Quanto appena detto è discutibile ed è anche comprensibile e meritevole che il figlio del Questore, inizialmente non riconosciuto dal padre perché non avuto da Norina Zaganelli, sua legittima consorte, ma dalla signora Claudia Crismani in Denipoti, anch’egli di nome Angelo e di primo cognome, appunto, Denipoti (Dino Paternostro. Il figlio segreto di Mangano. La Sicilia. Settembre 2013), si prodighi in tutti i modi, a presentare nel modo migliore il proprio genitore. Ma a me interessa parlare solo, ripeto solo, della cattura del famigerato Leggio.

Prima di elencare i motivi a difesa di quanto sostengo e quindi della verità storica sulla nota cattura, desidero riportare un passo della Commissione Parlamentare d’Inchiesta sul Fenomeno della Mafia in Sicilia (VI legislatura, doc. XXIII n2 pag.1019/1020 Presidente sen. Carraro) anche questa, involontariamente, omessa dal Carbone che trascrivo:

““…..Ora delle due l’una: o mente Mangano o mente Milillo. C’è però un elemento di fondo che porta a dare maggiore credito alla versione dei carabinieri; e cioè che il dott. Mangano …….ha costantemente ricoperto, nella vicenda Leggio, un ruolo piuttosto equivoco e sconcertante, come confermano gli elementi connessi alla “ballata delle bobine” di cui parleremo più oltre, e sempre operando agli ordini diretti del Capo della Polizia Vicari, che continuò ad affidargli incarichi nella lotta contro la mafia nonostante gli insuccessi registrati. Per cui accettata per buona la versione dei carabinieri, non si capisce bene se Mangano sia piombato nel novembre del 1963 a Corleone per catturare effettivamente Leggio ormai braccato da vicino dagli uomini di Milillo, oppure per contrastare in qualche maniera l’operato dell’Arma, salvo poi recitare ad ogni costo, una volta caduto Leggio in trappola, la parte del vincitore, per creare un alibi a se stesso e a chi l’aveva inviato a Corleone. Certo è, comunque e in ogni caso, che Mangano non ha agito di sua iniziativa, ma ha obbedito agli ordini ricevuti””

Riporterò più innanzi altri passi di altra Commissione Parlamentare Antimafia  che ricordo a me stesso, che essa procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri dell'Autorità Giudiziaria e che fotografano meglio la figura di questo “integerrimo poliziotto scomodo” per la giustizia e per la ricerca della verità (Ctz-Carbone).

Il Mangano, in passato, per essersi attribuito il merito, fu querelato da mio padre nel 1973 e si instaurò un processo per direttissima dinanzi il Tribunale di Milano nel 1974. Si concluse con la remissione della querela da parte di mio padre, dopo che il Questore Mangano “riconobbe, per iscritto”, che “l’intervista rilasciata (dal Questore) al settimanale l’Europeo e pubblicata sul n. 27 del 5 luglio 1973, non voleva costituire offesa alla reputazione e alla onorabilità del Generale Milillo e degli Ufficiali intervenuti all’operazione Leggio, riconoscendo inoltre i prevalenti meriti, tanto nella clamorosa cattura di Leggio, quanto alla concreta felice lotta alla mafia con l’arresto di oltre mille mafiosi e favoreggiatori”.

Il caso, dunque, è risolto. Invece NO!

Mio padre allora sbagliò a rimettere la querela perché disse che  era stato insistentemente invitato da personalità della Polizia e dal Comandante Generale dell’Arma nonché dallo stesso Mangano il quale, facendo appello ai sentimenti cristiani di mio padre, lo aveva pregato, davanti a testimoni e ai rispettivi legali (Anselmo Crisafulli-da Sciglio a “Segreti di Stato” Settant’anni di Storia Italiana-di Matteo Steri) di non porlo nella condizione di disagio coi colleghi.

Si è perduta una occasione propizia e tempestiva per affrontare una buona volta e per sempre, il problema di fondo.

Caro amico, anche se procederò in modo un po’ disordinato, ma comunque forte di documenti “veri, certi, ufficiali, inconfutabili, non fantasiosi o artefatti” come alcuni di quelli esibiti dal Mangano e di cui nelle sedi ufficiali non se ne è tenuto in debito conto, cercherò di sintetizzare questa annosa vicenda.

Anche il Mangano querelò mio padre a distanza di 20 anni, nel 1994 insieme al team della trasmissione televisa “il Rosso e il Nero” diretta da Michele Santoro a sua volta collaborato da  Ruotolo Alessandro e nei confronti di Farkas Ruggero, Mennella Giuseppe Federico, per avere intervistato mio padre, alla notizia della morte di Luciano Liggio, sulla paternità della cattura di quest’ultimo e per avere mio padre ricordato alcuni giudizi poco piacevoli nei confronti del Questore, già note all’opinione pubblica e alla Commissione Parlamentare Antimafia. Non vi furono condanne.

Il perché lo fece?

 In verità è un mistero. Infatti mi sono domandato e chiesto:

  • perché Mangano non provvide a querelare mio padre per le sue precedenti dichiarazioni?
  • Perché Mangano ha lasciato trascorrere, tanto tempo, da allora, senza neppur fiatare?
  • Perché Mangano non querelò i media di allora?

Una serie di riflessioni porterebbero, verosimilmente, alle seguenti conclusioni in considerazione che allora erano ancor in vita gli attori principali di quella brillante eclatante operazione, autentici testimoni (non falsi e subornabili) ed in primo il suo stesso Capo Vicari nonché il famigerato Leggio, il M.llo dell’Arma Tobia, l’ex Prefetto di Palermo Ravalli e tanti altri ancora.

Infatti:

  • se fosse stato ancora in vita il Capo, questi, uomo esperto, furbo e pratico, tanto più perché  perfettamente consapevole, avrebbe testimoniato quale era stata la effettiva autentica verità in ordine alla dinamica di quella cattura già ufficialmente acquisita, perché ben documentata, in quanto era stato proprio il Vicari a fare assegnare, a mio padre, dal Ministro dell’Interno in persona, la taglia posta su Leggio mentre al Mangano, per avere partecipato alla cattura, fu elargito, tra l’altro, dal Ministero dell’Interno, un premio in denaro di Lire 250.000 e successivamente una promozione. Un atto questo in favore di mio padre, che smentisce solennemente Mangano;
  • se fosse stato in vita “il suo amico” Leggio, Mangano non si sarebbe minimamente azzardato, perché era sicuro che, proprio questi lo avrebbe ancora e per l’ennesima volta platealmente sbugiardato in aula;
  • se fosse stato in vita il Prefetto Ravalli avrebbe testimoniato in ordine alle preliminari  indagini e al conseguente arresto e a chi vennero conferiti i riconoscimenti delle più alte cariche dello Stato.

Mangano potrebbe avere ritenuto, ingenuamente, che morti questi  testimoni, lui avrebbe potuto liberamente farsi accreditare come vero autore di detta cattura e, nel contempo, riabilitarsi dell’umiliante condizione in cui era venuto a trovarsi a Milano nel 1974, allorché era stato costretto a rilasciare a mio padre quella dichiarazione con cui aveva dovuto riconoscere il diritto ad attribuire a mio padre tale paternità al di la, ripeto, degli Atti di PG che furono a suo tempo vistosamente firmati anche da Mangano tra i quali il “Processo Verbale di Arresto” del latitante Leggio e “Verbale di Sommarie Informazioni” rese al Sostituto Procuratore della Repubblica di Palermo dott. Pasquale Lo Torto dove Leggio dichiarava, fra l’altro, ad esplicita domanda che “la rivoltella da me esibita al momento dell’arresto era regolarmente denunciata a mio nome presso il Commissariato di Corleone. Vi preciso chedetta arma quando sono venuti i Carabinieri era chiusa nel cassetto del comodino. Fui io stesso a indicare al Colonnello Milillo dove si trovava l’arma per prelevarla. Letto confermato e sottoscritto Leggio Luciano”. Atti di PG. dal Mangano controfirmati e mai contestati, che anche da soli, lo mettono KO.

Fu lo stesso Liggio che raccontò in sede di dibattimento, come il Mangano, con una mossa prepotente e fulminea, scansò un maresciallo dei carabinieri (Tobia) facendosi così immortalare dalla macchina fotografica e “millantare” quell’arresto.

L’autore del libro conclude la sua intervista parlando di Mangano come una “figura scomoda fatta cadere artatamente nel dimenticatoio e ancora oggi nella stessa Giarre Mangano è un personaggio quasi sconosciuto e in tutta Italia non vi sono vieo piazze intitolate a questo fedele servitore dello Stato”.

Ovviamente qualche motivo ci sarà ed infatti mi domando e chiedo all’autore del “romanzo”, il perché volere a tutti i costi riesumare un personaggio ”artatamente non ricordato” dalla sua stessa Amministrazione  e perché mai gli si dovrebbero intitolare in Italia vie o addirittura piazze. Forse è questo lo scopo del libro? Quello di creare e magnificare un fantomatico personaggio per giustificare la intitolazione di una via a Giarre su commissione? Nulla questio sed cui prodest dicevano i latini! Ma, comunque, non si dovrà intitolare nulla, facendo menzione alla cattura del 14 maggio 1964 del Leggio, anche se il Mangano con i suoi, vi partecipò sotto la direzione di mio padre. Poiché non riguarda lo specifico argomento, ometterò di elencare le “brillanti operazioni” compiute dal Mangano con il loro “esito negativo” (ctz- Commissione Parlamentare Antimafia) lasciando così all’autore del libro un’aria di mito anziché di condanna del suo personaggio romanzato. Difficilmente il Carbone potrà mai riferirsi al Mangano nel dedicare il libro “a coloro i quali nell’arsura del deserto del male affare hanno sacrificato la loro vita alla ricerca della fonte dissetante della giustizia”. Ripeto, mi riferisco unicamente alla cattura di Leggio, un’operazione progettata, programmata e poi concretamente attuata sotto la direzione di mio padre che tenne tra l’altro una conferenza stampa nel “suo ufficio” attorniato da chi collaborò al blitz, fra i quali Mangano,  e non presso un ufficio della Polizia.

Il Mangano, pur di attribuirsi il merito della cattura del Leggio, dopo un mese dalla stessa, in modo assai poco “onesto”, stila un rapporto datato 16 06 1964 a firma del Prefetto di Palermo Ravalli (richiamato ogni volta  dal figlio e il compiacente direttore Paternostro che continuano a disconoscere quello ufficiale e vero firmato, in un secondo momento, dallo stesso Prefetto Ravalli che dovette “rimangiarsi” il primo perché “non rispondente al vero”) dove afferma, in  stridente contrasto con la sacrosanta verità acquisita agli atti, da lui vistosamente firmati, nientemeno che “di essere entrato per primo” nella camera che ospitava Liggio, aggiudicandosene ingiustamente il merito.(Ctz-Commissione Parlamentare Antimafia)

Infatti, successivamente, su richiesta della Commissione Parlamentare Antimafia (pag. 171,172,173) che chiedeva “”………ad iniziativa di quali organi e comandi tale operazione fosse stata impostata quali funzionari di Pubblica Sicurezza o Ufficiali deiCarabinieri in data 28 maggio 1965 lo stesso Prefetto, richiesto di fornire chiarimenti circa le modalità dell’operazione, si fossero maggiormente distinti in tale circostanza il Prefetto rispose alla lettera con una nota del 1 giugno 1965 , nella quale scriveva anzitutto che le prime notizie sulla imminente cattura di Liggio gli erano state fornite “proprio subito dopo il suo arrivo a Palermo,dai Comandanti dei Gruppi Esterno e Interno dei Carabinieri…………aggiungeva-in sostanza smentendo quanto aveva riferito al Ministero dell’Interno- che alla cattura del Leggio avevano contribuito efficacemente con pari impegno tutti gli organi sopracitati, anche se una certa prevalenza, specie nella fase preparatoria, doveva essere riconosciuta all’Arma”.Il Prefetto precisava inoltre che il rapporto al Ministro, “pur essendo firmato da me era stato predisposto dalla Questura” cercando così di spiegare le ragioni per le quali in un primo momento aveva avallato la tesi secondo cui era stato il funzionario di polizia ad avere un ruolo preponderante nella cattura di Liggio””

Anche allorquando il Mangano andò negli USA per indagini, rilasciò interviste e raccontò come catturò il Liggio, tant’è che un certo Mike La Sorte,Prof. Emerito statunitense (SUNY), che scrive ampiamente su una varietà di argomenti, compresi quelli sulla Mafia, dopo avere incontrato “l’impavido Mangano”, così descrive la cattura della Primula Rossa:

“…alle 6 di sera il dott. Mangano e cinque agenti circondavano la casa di Leoluchina Sorisi. Quando bussa alla porta risponde: Chi è? Amici rispose il commissario, apri o romperò la porta. La porta si apre e Mangano pistola in pugno si precipitò in casa, scostando Leoluchina. Luciano dal suo letto: vieni dentro che sono qui. Lascia stare in pace la povera donna. Liggio, continuando, rivolto al Mangano, dice mettete via la pistola non vedete che sono poco più di un cadavere? Qui, prendete la mia pistola. Tirando fuori una “colt” dal mobiletto accanto al suo letto. Ho aspettato per diversi giorni. Ora puoi portarmi in prigione.

Ho bisogno di assistenza. Scusa per il disturbo. Il prigioniere viene vestito e, collocato su di una ambulanza, viene trasferito all’Ucciardone scortato da molte auto”.

In occasione di interviste rilasciate alla stampa , in una delle tante contraddittorie versioni sulla cattura, Mangano, fa dire al Liggio:

“……Avete fatto tardi Magg. Milillo, mi dispiace per voi, perché “mi ha già preso in consegna il mio vecchio amico, dr. Mangano (Ciò, sottolineo, è detto da Mangano, non da me).”

Va precisato che, su tale cattura, l’inesauribile fantasia del Mangano ci ha dilettato a lungo e in più riprese, offrendo invero, non una ma varie versioni. Per rendersi conto di ciò basterà rileggere le numerose interviste-da me custodite- che si è compiaciuto rilasciare a tutta la gamma di quotidiani, rotocalchi e riviste italiane estere. Tanto però, suppongo, egli abbia potuto fare perché forte di quei “vuoti di memoria” di cui parla il giornalista Magrì pubblicata sul n. 27 del 5 luglio 1973, quasi a premessa della sua nota intervista riportata dall’Europeo.

E’ stato, però, accertato che Liggio:

  • fu svegliato di soprassalto dai Capitani dei carabinieri Carlino e Ricci, ovviamente, ben prima che Mangano fosse entrato in quella stanza, beninteso anche dopo i Colonnelli Milillo e Siracusano e ben dopo che Milillo lo aveva “dichiarato in arresto” e disarmato” della sua Smith e Wesson 38”(che il Mangano da esperto tiratore scambia per Colt)
  • disse rivolto al Milillo “sempre a lei colonnello….l’avrei data la pistola e non a quel buffone”.

Si riferiva al commissario Mangano, nei confronti del quale indirizzò altri epiteti poco piacevoli (ctz.testimonianze dibattimentali). Si rivoltò contro Mangano un po’ perché questi aveva preso il fratello, che era un minorato psichico, in piazza in pieno giorno ed un po’ perché sembrava deluso di certi atteggiamenti. Lasciò intendere che da Mangano il Liggio si attendeva quasi una qualche forma di “protezione”. Si seppe successivamente che Leggio si trasferì a Corleone dalla Sorisi dopo l’arrivo di Mangano. Su quanto appena detto, Mangano (stranamente) non adì mai le vie legali,  nonostante tali dichiarazione fossero state rese pubbliche dalla stampa e in sede di Commissione Parlamentare Antimafia.

E’ forse questo il vero scopo del suo mandato in Corleone, sottinteso dalla Commissione Parlamentare (X legislatura, Doc. XXIII N.3, pagg. 3765, 3766, 3767 Sen. Chiaromonte), il cui contenuto ometto di trascrivere per non mettere, come si suol dire, altra carne a cuocere non intendendo riesumare vecchie situazioni e illazioni compromettenti tra il Capo dei Capi Liggio, la baronessa Valenti di Corleone, il Prefetto Vicari, il commissario Mangano  ma che, comunque, il Carbone avrebbe fatto bene a leggere. E’ Mangano stesso ad offrirci, con quella frase “suo vecchio amico” -direttamente e personalmente- quella presunta “prova madre” confermata perché fatto dire a Liggio.

Altra versione “fantasiosa e romanzata”, raccontata per ricordare “l’onesto funzionario”, dove fu erroneamente mitizzato, è stata  la fiction televisiva de “Il capo dei Capi” di Bolzoni e D’Avanzo, nonostante lo stesso Bolzoni su La Repubblica del 25 ottobre 1987 scriveva testualmente “……….capo o non capo di Cosa Nostra, Luciano Liggio resta sempre un personaggio unico nel panorama mafioso, un boss che è riuscito persino a far litigare pubblicamente ufficiali e alti funzionari dello Stato. Era il 14 maggio del 1964 e Luciano Liggio fu arrestato nella abitazione delle sorelle Sorisi, L’allora commissario Angelo Mangano e il Colonnello dei Carabinieri Ignazio Milillo litigarono furiosamente per mesi contendendosi la paternità della cattura del grande boss.

Fu Luciano Liggio, in aula, a dire la verità: mi arrestarono i Carabinieri. E fu sempre lo stesso Attilio Bolzoni, in occasione di altro processo a carico di Liggio, a riportare la dichiarazione del boss resa in tribunale: Mi ha catturato Milillo e non Mangano”. A questo punto mi domando e chiedo se l’età fa brutti scherzi anche alla memoria dei giornalisti-romanzieri di spessore come il Bolzoni che si rimangia ciò che ha scritto dopo averlo personalmente udito o qualcuno ha commissionato “pro domo suo” la fiction?

Alla luce di quanto ora esposto (sarà bene rimarcarlo e sottolinearlo ancora) ci troviamo davanti a un ennesimo spregiudicato, quanto spudorato tentativo di capovolgimento di posizioni, ordito dal Mangano-d’intesa col suo Capo-non solo allo scopo di conseguire personalmente ulteriori vantaggi a danno di onesti Funzionari, ma soprattutto al fine di smentire le gravi illazioni avanzate sulla “missione speciale” e sul Capo, tacciati persino dalle Commissioni Parlamentari Antimafia, d’aver svolto, non già una incessante azione di ricerca e di lotta contro la mafia e Liggio, bensì una costante e maldestra tutela “in pro” di questi (Ctz-Commissione Parlamentare Antimafia).

Ma non voglio addentrarmi oltre in quanto si sconfinerebbe su altri argomenti piccanti come precedentemente accennato-sempre collegati al Liggio-quali la Banda Giuliano; il dott. Navarra; il Barone Valenti, il famigerato Navarra e Vicari quando era Prefetto di Palermo; il ruolo di Liggio nella morte di Giuliano; i “segreti” di Luciano Liggio e “sua protezione”; il Procuratore della Repubblica di Palermo Scaglione; Leoluchina Sorisi che ospita Liggio; legami tra il Capo della Polizia Vicari e Mangano e missione affidata da Vicari a Mangano, tutti argomenti trattati in passato ed in modo approfondito nei Tribunali, dalla stampa nonché ben documentata dalla Commissione Parlamentare Antimafia e non a conoscenza, guardacaso, dal Carbone in quanto si è impegnato, esclusivamente, nella ricerca di quei pochissimi atti  “pro” Mangano “perché le fonti erano ristrette.”

Ad attestare che la cattura del Capo dei Capi era stata “nell’immediatezza” riconosciuta, dal Ministero dell’Interno e soprattutto da Vicari, che riconosceva il merito della operazione all’Arma dei Carabinieri, lo dimostra anche il fatto che il 5 giugno 1964 (appena 20 giorni dall’arresto), in occasione della ricorrenza del 150° Anniversario della Fondazione dell’Arma dei Carabinieri, veniva omaggiata ai partecipanti alla cerimonia in tutto il territorio nazionale e non, una copia della rivista “Il Carabiniere” edito dal Comando Generale dell’Arma, dove a caratteri cubitali si legge “I Carabinieri catturano Luciano Liggio” ………”Il merito principale di questa operazione, con la quale è stata sgominata una delle più vaste organizzazioni mafiose, va al Comandante del Gruppo Esterno Carabinieri di Palermo, Tenente Colonnello Ignazio MILILLO ed ai suoi collaboratori. Da oltre un anno il valoroso Ufficiale  aveva teso la rete per catturare il fuorilegge e nel suo ufficio era stato installato lo Stato Maggiore, che condusse a termine l’operazione. L’operazione dell’Arma ha suscitato largo consenso nell’opinione pubblica siciliana ed è stata vivamente elogiata dalle autorità parlamentari e governative”e inoltre, nelle 5 pagine dedicate all’evento, oltre una serie di telegrammi pervenuti al Comando Generale, non ultimo quello della Commissione Parlamentare antimafia che esprime “vivo plauso Arma Carabinieri che sapientemente guidata realizza brillanti risultati repressione mafia meritando ammirata fiducia Nazione. Presidente Pafundi.

In uno degli articoli del giornale online Città Nuove di Corleone, che mi hanno visto contrappostio al dott. Mangano jr., e più precisamente quello di sabato 5 gennaio 2008, il direttore responsabile Dino Paternostro, molto amico del Mangano jr. e sostenitore della storia artefatta sulla cattura di Luciano Liggio raccontata dal dr. Angelo Mangano jr., fin qui in palese  contrasto con quanto da me documentato, riporta una lettera scritta in forma anonima, ma autore sicuramente lo stesso Angelo jr., che tende a ridicolizzare quanto da me asserito in passato a sostegno della verità storica e soprattutto per aver, io, menzionato, fra le varie vittime della mafia e del sistema associativo delinquenziale di allora, tale commissario Montalbano. Ovviamente, non essendo del mestiere e non conoscendo il Mangano jr.(a questo punto anche il Paternostro che bene avrebbe fatto per amore della verità ad informarsi giornalisticamente) le vicende della mafia, della massoneria ed altro inerente l’associazione a delinquere siciliana, non sa che il mio commissario Montalbano non è quello di Camilleri (al Mangano jr. piacciono i romanzi e romanzare) ma è esisto veramente (mi riferivo al dott. Saverio Montalbano) ed ha prestato servizio presso la Questura di Trapani da dove fu allontanato nel 1986, Vicari imperante, per aver messo il naso in un intreccio mafio-politico-massonico dove erano implicati “personaggi dabbene” e quindi, come detto, fu vittima di quel sistema, così come, quando affermavo che Mangano non ha mai retto il commissariato di Corleone, intendevo dire che più che dirigere quel commissariato era venuto quale “inviato straordinario del Capo” (più volte dichiarato dallo stesso  commissario Mangano in più sedi e circostanze) tant’è che poteva spaziare liberamente e a suo piacimento fuori dal suo territorio di competenza. Il perché inviato speciale del Capo lo si deduce negli atti Parlamentari Antimafia (senza richiamare gli articoli inchiesta della stampa dell’epoca). Ma  questo, sia il Mangano jr. sia il Paternostro, lo ignoravano.  

A me non dispiace affatto che alcuni corleonesi si ricordino il padre del dott. Mangano ir. e non mi risento affatto se alcuni corleonesi non si ricordino di mio padre girare e passeggiare per Corleone in quanto c’era una differenza sostanziale fra mio padre, che aveva la giurisdizione su di una intera  Provincia con sede in Palermo e il suo che aveva la giurisdizione limitata al territorio del Comune corleonese e di qualche altro viciniore. Per gli stessi compiti e giurisdizione in Corleone c’è una Compagnia Carabinieri al comando di un Capitano suo paritetico. Mio padre era equipollente al suo superiore Questore di Palermo.

Sherlock Holmes avrebbe detto, elementare Watson!

Ma prima di continuare, desidero fare un breve inciso sul libro presentato alla stampa giarrese laddove l’autore auspica l’intitolazione al “super poliziotto” di vie, piazze e monumenti. Sa dott. Carbone, farebbe del torto per prima al dr. Angelo Mangano j., Il quale non condivide minimamente queste forme di esibizionismo inutile. Infatti, nello stesso su menzionato articolo corleonese, il figlio del Questore si espresse così quando intitolarono a mio padre: “A Sambuca tra intitolazioni di aule consiliari e fondazioni, ognuno è libero di sprecare il tempo ed il denaro come vuole, mi dispiace solo per i contribuenti.” Quindi, mi creda, evitate tutto ciò per non fargli torto e fare gravare le spese su quei contribuenti, peraltro, senza giustificato motivo.

Adesso continuiamo sull’unica verità storica, riconfermata, e mai contestata da alcuna Istituzione, anche in occasione della ricorrenza del 50° anniversario della clamorosa cattura del “Capo dei Capi” della Mafia, sul mensile “Il Carabiniere” (n.6 del 2014) edito dal Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri (e non come “certe testate online” disinformate e fuorvianti), dove viene rievocata quella straordinaria operazione resa possibile grazie a mio padre e a chi collaborò nelle indagini e nel materiale arresto, con la presenza di personale della Polizia, della Primula Rossa.

Prima di concludere, desidero farti presente che in passato e tramite il Direttore della “rivista online” di Città Nuove di Corleone, dott. Dino Paternostro, perché suo amico, mi sono sempre reso disponibile ad un incontro, con il figlio di Mangano, sia privato che pubblico, per leggere insieme tutto il materiale cartaceo “ufficiale, certo ed incontestabile”, in nostro possesso e accettare congiuntamente una risoluzione che possa mettere fine a questa annosa storia. Non ho mai avuto alcun riscontro da costoro ma unicamente il continuare, ripeto, “in stridente contrasto con la sacrosanta verità acquisita agli atti e dal Mangano vistosamente firmati” della diffusione assolutamente non veritiera, tramite carta stampata.

Errare humanum est sed perseverare diabolicum!

Vedi, la verità non è un dogma (ctz-articolo dedicato a gratificare (?) Dino Paternostro su Città Nuove di Corleone) e sono indeciso se pubblicare o meno un libro chiarificatore di quegli eventi e circostanze anche se, parlando di alcuni personaggi, tra cui il Mangano, si dovranno richiamare, giocoforza, alcuni episodi e giudizi poco graditi, precedentemente e pubblicamente espressi da più parti e mai (stranamente) contestati in sedi legali dagli interessati nonché consentire così al dott. Paternostro di aggiornare l’archivio “di parte” di Città Nuove di Corleone in modo da non fare incorrere, in depistaggi e macroscopici errori, ignari lettori e ricercatori che desiderano lumeggiare ed esaltare quei probi servitori dello Stato “………i quali nell’arsura del deserto del male affare hanno sacrificato la loro vita alla ricerca della fonte dissetante della giustizia”.

Augurandomi di esserti stato sufficientemente esaustivo, anche se alcuni argomenti, come quello della “ballata delle bobine”, Frank Copola detto “tre dita” e lo strano attentato al Mangano, andrebbero trattati, concludo con un caloroso saluto.

Gianfranco MILILLO