Da sempre sui diversi scenari internazionali, le missioni dell’Arma all’estero
L’Arma dei Carabinieri nella sua lunga storia ha partecipato ad interventi all’estero fin dal lontano 1855 nella guerra di Crimea, dove operò il “Corpo di Spedizione Sardo in Oriente” a cui partecipò un distaccamento di carabinieri che mostrarono coraggio ed abnegazione riconosciuta unanimemente e si prodigarono senza tregua nel soccorso ai colpiti dal colera che imperversò durante la guerra. Nel corso del ‘900 numerosissimi sono stati gli interventi che, specialmente negli ultimi decenni e sino ai nostri giorni, si sono caratterizzati per il loro supporto alla pace e per l’aiuto alle popolazioni. Possiamo affermare che in questi lunghi anni l’Arma si è conquistata la stima e l’apprezzamento internazionale tanto da essere considerata un modello di riferimento per gli Stati che stanno uscendo da periodi di guerre e crisi e che chiedono il nostro supporto per l’addestramento delle loro forze di polizia. In Italia, a Vicenza, è stato creato un centro di eccellenza presso la Scuola Sottufficiali dei Carabinieri per la formazione di forze militari di pace con funzioni di polizia civile, (si tratta del Coespu: Center of Excellence for Stability Police Units) che viene frequentato da militari di diverse nazionalità. L’impegno dei militi è stato particolarmente intenso negli anni ’90 con numerose missioni (Missione Airone italiana nell’ambito della Missione Provide Confort in Iraq a favore delle popolazioni curde), Operazione Pellicano in Albania, Missione Onusal nella Repubblica centroamericana di El Salvador, in Cambogia nel 1992, in Somalia con l’operazione Restore Hope (ridare la speranza), in Bosnia, in Kosovo, a Cipro, in Libano, nel Ciad, nella Repubblica Democratica del Congo, con la Missione UE (Euban) nella striscia di Gaza, in Cisgiordania, in Afghanistan, ancora in Iraq con la Missione Nato. Nei periodi di maggiore impegno si è arrivati all’impiego di circa mille carabinieri al giorno, ma con la fine dell’operazione Enduring Freedom e la progressiva diminuzione dell’impegno internazionale in Afghanistan si è scesi all’impiego di circa 350 militi al giorno. Questi sono inseriti nella MSU (Multinational Specialized Unit) e nella IPU (Integrate Police Unite) e la loro attività si è andata sempre più caratterizzando per la capacità di controllo del territorio, di intelligence criminale e lotta al terrorismo. Quindi ai compiti di natura militare e di polizia militare si sono andati aggiungendo quelli di osservazione sul rispetto dei diritti umani, di addestramento, supervisione e consulenza per la ricostruzione delle forze di Polizia e l’impegno per il ripristino e il mantenimento dell’ordine e della sicurezza pubblica.
Dove sono ancora presenti i nostri sono accettati dalla popolazione per la loro capacità di interagire con i civili, per l’aiuto e il soccorso prestato ai più deboli e specialmente ai bambini. Molto apprezzata la loro capacità di addestramento della polizia locale, lo scopo dei corsi tenuti è quello di creare persone in grado a loro volta di addestrarne altre. Tra le attività forse meno note c’è quella di polizia scientifica, una squadra di carabinieri, chiamata SIS (Special Investigation Section) è specializzata nelle indagini più tecnologiche, e nella missione Unifil siamo gli unici ad avere questa specializzazione.
Nonostante questo grande apprezzamento per i nostri carabinieri, purtroppo, anche loro, nel corso degli anni, sono stati vittime di attentati insieme alle altre forze militari ed è stato alto il numero di uomini caduti nell’adempimento di missioni umanitarie. É passato proprio da pochi giorni l’anniversario di una delle stragi più gravi che la storia dell’Arma ricordi dalla fine della Seconda guerra mondiale ad oggi e che colpì i militari italiani in missione di pace in Iraq durante l’Operazione Antica Babilonia. Il 12 novembre 2003, alle 08:40 ora italiana, un’autocisterna irruppe nella Base Maestrale di Nassiriya esplodendo e facendo crollare parte dell’edificio principale, e mandando a fuoco diversi mezzi militari ed il deposito delle munizioni. Il bilancio fu tragico: 28 morti, dei quali 19 italiani tra cui 12 carabinieri. Quello che seguì fu il momento dell’orgoglio nazionale in cui lo Stato e il popolo italiano si unirono al dolore dei caduti e dei parenti delle vittime. Scrisse con ammirazione l’intellettuale francese André Glucksmann: «Un popolo in lacrime, ma dignitoso e raccolto, si eleva all’altezza del compito. Ha compreso che i suoi carabinieri sono stati assassinati in una terra lontana perché l’Italia ha insegnato all’Europa l’arte e la dolcezza di vivere insieme in una società “civile”, sfuggendo alla legge della sciabola e del ricatto terroristico». Alla strage di Nassiriya gli italiani, come già detto, reagirono con immenso orgoglio, con compostezza e dolore autentico senza vergogna di esprimere fino in fondo i propri sentimenti. A oltre dieci anni da quella data rimane vivo il ricordo e i sentimenti forti di quel giorno per quegli uomini caduti in una terra lontana per aiutare la popolazione civile lacerata dalla guerra.